<Bene comune e bene proprio> da Giotto a Lorenzetti è il tema trattato dal professor Roberto Filippetti docente di iconologia e iconografia all’Università Europea di Roma, in un incontro promosso dall’Ufficio Scuola della Diocesi, diretto dal professor Nicola Romano e dal Cif, il Centro italiano femminile. Nell’aula magna dell’Istituto Sarrocchi il professor Filippetti ha parlato del concetto della buona politica, soprattutto quando questa produce bellezza. L’intervento del professore ha attraversato tre luoghi dove sono raffigurati affreschi di grandi pittori che rappresentano le linee guida per governare la città. I luoghi in questione sono il Palazzo della Ragione a Padova, la Cappella Scrovegni, sempre a Padova, la Maestà di Simone Martini, situata nella sala dei Nove e il buono e cattivo governo del Lorenzetti, ambedue nel Palazzo Pubblico di Siena. In tutte queste raffigurazioni sono presenti i principi che un buon governante deve seguire per operare e per perseguire il bene comune. Sia Giotto che Lorenzetti, nelle loro opere ispirate alla buona politica e al buon reggimento delle città, mettono in risalto il concetto che la buona politica è frutto della buona giustizia. Infatti in una città o in uno Stato non può esserci armonia se la politica non tiene conto della giustizia. La giustizia crea concordia e unità; gli affreschi del Lorenzetti nel Palazzo Pubblico di Siena, ci insegnano che i reati devono essere puniti, altrimenti non c’è giustizia e il corretto esercizio della giustizia fa sì che anche le regole per il buon vivere in armonia siano rispettate. Il buon governo di una città deve partire dal principio del giusto premio e della giusta pena, quando tutto ciò manca, anche il governo della città ne risente in modo negativo e prendono il sopravvento i soprusi e i reati, viene meno la sicurezza del cittadino e questo genera tensioni e rivolte sociali. A Padova il buon governo è raffigurato dalle persone che ballano, mentre il cattivo governo è raffigurato dall’aggressione verso una coppia di sposi, dove il marito viene ucciso, mentre gli aggressori abusano della moglie incinta; in questo affresco c’è la giustizia calpestata e un tema di grande attualità quello della violenza sulle donne. Parlando di giustizia, a Siena, viene spontaneo il riferimento a Santa Caterina. Caterina conosce gli affreschi del buono e del cattivo governo in Palazzo pubblico e ne coglie il grande significato. Su questo tema del buon governo e del perseguire il bene comune, invece del bene particolare, attraverso l’esercizio della buona politica, Santa Caterina ci è veramente <Maestra>, nella Lettera 170 scritta a Piero Marchese del Monte, magistrato e podestà di Siena: scrive: <Si che siate vero giudice e signore nello stato che Dio v’ha posto; e drittamente rendiate il debito al povero, e al ricco secondo che richiede la santa Giustizia, la quale sempre sia condita con misericordia>. E sempre nella stessa lettera la mantellata senese, a proposito di un giovane che si era introdotto clandestinamente nel monastero delle benedettine di San Michele nel borgo di Vico, minacciando di dare fuoco all’edificio e che per questo rischiava la pena di morte, al magistrato scrive: <Non vorrei che egli perdesse la vita: ma d’ogni altra pena io sarei molto consolata>. Quindi sì alla giusta pena per punire il reato, no alla pena di morte. Caterina nel XIV secolo mette un seme contro la pena di morte; questo seme germoglierà nel Granducato di Toscana, il primo Stato al mondo ad abolire legalmente la pena di morte il 30 novembre 1786.
Franca Piccini