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Consegna del pallio a monsignor Augusto Paolo Lojudice

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Il Nunzio Apostolico in Italia, monsignor Emil Paul Tscherrig ha consegnato, Domenica 13 Ottobre 2019, il pallio a monsignor Augusto Paolo Lojudice durante una bella cerimonia alla quale hanno partecipato le autorità civili di Siena, i sindaci del territorio diocesano e molta gente che ha gremito la cattedrale. Il pallio, benedetto da Papa Francesco, è in pura lana di pecora, tessuto a mano e sta a significare che l’arcivescovo prende in carico la Chiesa di Dio che è in Siena, Colle di Val d’Elsa e Montalcino; alla consegna del pallio da parte del Nunzio, monsignor Lojudice ha risposto confermando la fede e l’obbedienza con “religioso ossequio al romano Pontefice.

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Omelia di S.E. Mons. Augusto Paolo Lojudice –  13 ottobre 2019

….vangelo che abbiamo ascoltato……

 

 

Dal Vangelo secondo Luca (17, 11-19):

[11] Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea.
[12] Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza,
[13] alzarono la voce, dicendo: “Gesù maestro, abbi pietà di noi!”.
[14] Appena li vide, Gesù disse: “Andate a presentarvi ai sacerdoti”. E mentre essi andavano, furono sanati.
[15] Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce;
[16] e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano.
[17] Ma Gesù osservò: “Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono?
[18] Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?”. E gli disse:
[19] “Alzati e và; la tua fede ti ha salvato!”.

 

“…In “dieci” si fanno incontro a Gesù, il numero minimo di adulti necessari per il servizio della sinagoga, immagine di ogni comunità cristiana. Tutti “gridano” ad una sola voce riconoscendo in Gesù un “maestro”, un “epistatès” – “colui che sta in alto” – nella speranza che si chini su di loro per guarirli. Anche noi siamo stati come i 10 lebbrosi… Chissà quante volte, pieni di speranza, abbiamo obbedito alla Parola che ci annunciava la guarigione, e ci siamo incamminati “verso Gerusalemme”. Il Signore ha preparato per noi un lungo e serio percorso di conversione; esso è immagine del catecumenato della Chiesa primitiva, l’iniziazione cristiana senza la quale il battesimo resta allo stato infantile. E, come i dieci lebbrosi “furono purificati mentre andavano”, anche noi, durante il nostro cammino di conversione, certamente abbiamo sperimentato l’azione risanatrice di Dio. Ma per nove su dieci – una percentuale altissima – non è bastato. Sicuramente si sono accorti di essere guariti, ma è mancata loro una cosa, fondamentale e decisiva. La “fede” autentica e adulta si manifesta nella “gratitudine” del lebbroso illuminato dalla Grazia. In quest’unico lebbroso, il peggiore perché “samaritano”, risplende la novità della Chiesa. Molti si scandalizzano di Papa Francesco, dei suoi gesti e delle sue parole che ritengono sovversive, eretiche e indegne di un pontefice. Purtroppo, come i nove lebbrosi che pure avevano incontrato Gesù, da Lui erano stati risanati e a Lui avevano obbedito, non hanno occhi “mistici” capaci di riconoscere l’essenziale che trasfigura la guarigione in salvezza…” La Chiesa, dunque, è proprio l’ ”ospedale da campo” issato “lungo il cammino verso Gerusalemme”, dove la misericordia incontra il peccato; i veri adoratori di Dio nascono, infatti, laddove “Gesù passa” e si fa “straniero” sino a morire da eretico e bestemmiatore per loro. Gesù e quel lebbroso e straniero risanato, tu e Cristo, ciascuno di noi e  Cristo: ecco la più bella cattedrale mai costruita: insieme annunciamo che Dio è sceso a toccare i peccatori e che questi, perdonati e rigenerati, possono davvero “alzarsi”, risuscitare e salire al Cielo “rendendo Gloria a Dio”….

Salire al cielo…: come il cammino che può esser fatto all’interno della nostra cattedrale:             “…La “porta del cielo” si apre ai visitatori come salissero attraverso la scala apparsa in sogno a Giacobbe, la cui cima raggiungeva il cielo e gli angeli di Dio salivano e scendevano (Genesi 28,10-22). Nel sogno Dio promette a Giacobbe la terra sulla quale egli stava dormendo e un’immensa discendenza. Al suo risveglio Giacobbe esclama «Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo», verso utilizzato dalla liturgia nella messa della dedicazione delle cattedrali. Ma ‘porta del cielo’, secondo le litanie lauretane, è anche la Vergine, definizione che meglio esprime la potenza e la bontà di Maria, la quale come Madre di Cristo e dell’umanità, concorre alla nostra salvezza eterna in Cielo ove lei è ‘Regina assunta’. Il percorso “dall’alto” permetterà infatti di comprendere meglio la dedicazione del Duomo di Siena all’Assunzione della Madonna e il forte legame che i cittadini senesi hanno da secoli con la loro ‘patrona’: Sena vetus civitas Virginis…”

Dobbiamo imparare a ringraziare Dio, anche per i tanti doni che non tocchiamo subito con mano, ma che lui ci fa continuamente, e sono ben più numerosi!  Quel Samaritano ‘tornò indietro’ e ringraziò il Signore.  Anche noi, guardando indietro a tutta la nostra vita, vediamo un’infinità di doni, che sono dei veri miracoli invisibili.                                                                                                                   – Il dono della fede, di Gesù Cristo, dello Spirito Santo, della Chiesa.                                                                      – Il dono del Battesimo, dell’Eucaristia, della Parola, del Perdono.                                                                 – Il dono dei genitori, dei fratelli, dei sacerdoti, delle tante persone che ci hanno voluto e ci vogliono bene.                                                                                                                                                              – Il dono di essere arrivati ad una avanzata età: spesso ci si lamenta della vecchiaia, come se fosse una malattia! Se ringraziassimo Dio di tutto quello che abbiamo, non avremmo il tempo di lamentarci di quello che ci manca.  Solo chi guarda la sua vita alla luce della fede, si sente amato da Dio e vede le tante premure di Dio. Vede che tutto è disposto dalle sue mani, che nulla è lasciato al caso. Vede che nella sua Provvidenza non rientrano solo i grandi avvenimenti della storia, ma anche i piccoli accadimenti della vita di ogni giorno. Vede che Dio realizza il suo disegno di amore, utilizzando gioie e dolori, il bene e anche il male  Quando la fede è autentica, sa vedere che tutto è grazia, e non può non diventare rendimento di grazie.

 

Vorrei a questo punto salutare e ringraziare tutti voi che state partecipando a questa eucaristia. Per primo saluto lei, Ecc.za Rev.ma, Emil Paul Tscherrig, che a nome del papa è qui con noi oggi.    E poi ciascuno di voi, carissimi confratelli vescovi, sacerdoti e comunità, religiosi e religiose, diaconi, consacrati e consacrate, seminaristi ormai accoliti, associazioni, laicato intero, famiglie…autorità civili e militari che siete qui convenuti nella nostra bellissima cattedrale per vivere e celebrare insieme l’inizio del nuovo anno pastorale diocesano e accompagnare me, vostro vescovo, in questo momento in cui ho ricevuto il pallio, questo piccolo e semplice segno che mi mette in comunione profonda ancora di più con la sede Apostolica, con Papa Francesco e mi fa sentire ancora maggiormente l’impegno e la responsabilità verso questa chiesa e verso le 4 chiese suffraganee che ci hanno voluto oggi onorare con la loro presenza dei rispettivi Vescovi.

Con questa celebrazione di inizio del nuovo anno pastorale vorrei affidare a ciascuno di voi un compito particolare: quello di accompagnare ogni giorno con la preghiera Il cammino della nostra chiesa, per un ascolto sempre più attento della parola di Dio; una testimonianza sempre più efficace e radicale; per una comunione sempre più sincera e più profonda tra tutti noi sacerdoti, laici, religiosi e diaconi e tutti quelli che vogliono coinvolgersi in questo cammino e in questa esperienza di chiesa. Per prima cosa ho detto l’ascolto della parola di Dio, perché è dall’ascolto che nasce la fede: un ascolto che come dicevo deve essere attento e profondo, appropriato e meditativo…  Il percorso diocesano della lectio divina offerto attraverso un libretto che sarà offerto a chiunque voglia farne uso, sottopone a tutti quanti voi, a chiunque lo voglia effettuare o continuare ad effettuare; sia a quelli che già erano assidui in questa esperienza, sia a quelli che lo volessero cominciare un serio percorso di conoscenza e meditazione biblica. Vorrei partire proprio con una convinzione profonda di tutti noi credenti: che la Parola di Dio, contenuta nelle Sacre Scritture, è uno dei nodi fondamentali del nostro cammino di fede, della nostra esperienza di vita cristiana. Sembra scontato quello che sto per dire, ma non lo è mai abbastanza, perché non possiamo dirci cristiani se non abbiamo una conoscenza seria e approfondita delle Sacre Scritture. Il cammino che in questi anni l’equipes biblica della nostra diocesi ha portato avanti mi sembra un’esperienza molto significativa, da continuare e da incrementare. Il testo che quest’anno è stato preso in esame è l’ultima parte del libro della Genesi: i capitoli che vanno dal 26 al 50.  Sono capitoli molto intensi, molto densi, che raccolgono fondamentalmente le esperienze di due grandi personaggi biblici che sono Giacobbe e Giuseppe, due fratelli, che ci danno uno spaccato di tante situazioni particolari e attuali che possono anche offrire degli spunti di vita, di riflessione per la vita del nostro tempo.  Il libro della Genesi è un libro che può sembrare “lontano” ma é il primo libro che la Bibbia, le Sacre Scritture ci presentano. E’ un libro che raccoglie una grande sapienza ed è un libro che parte da alcune domande fondamentali che ogni essere umano continuamente si pone: le domande sulle nostre origini, le domande sul male, sul peccato; le domande sulla negatività e sulla fatica delle relazioni tra le persone, anche quelle molto vicine… Il libro della Genesi cerca di mettere in evidenza le caratteristiche, il comportamento, la vita di alcuni singoli individui per significare e illuminare la vita di ogni essere umano e quindi anche la nostra.              Sono passati quasi quattro mesi dal mio arrivo in questa bellissima città. Posso dire di aver vissuto fino ad ora tanti momenti molto molto significativi: non posso non ricordare anzitutto la grande accoglienza al mio ingresso, il 16 giugno.  una giornata piena di colori di musica di gioia e anche di attesa… Si, di attesa… ho percepito fin dal primo istante in cui ho messo piede in questa diocesi un grande desiderio di incontrarci, guardarci negli occhi, di parlare, di conoscerci….. poi ho cominciato i primi incontri con i sacerdoti e con i laici, con le comunità religiose, con i diaconi, con la gente…da quella che incontravo lungo la strada che mi fermava e che mi ferma anche oggi, per un saluto, per un grazie.  Un incontro anche con le autorità civili e militari con cui abbiamo iniziato devo dire, un proficuo dialogo, non solo perché con alcuni ho ritrovato una comune origine romana o addirittura la vicinanza di quartieri di nascita, ma perché ho sentito nelle molteplici occasioni che ci è dato di vivere insieme, come le celebrazioni delle feste delle varie armi, del Comune… feste solenni e altri momenti a cui vengo sempre con attenzione invitato… un dialogo, dicevo, profondo e proficuo che sicuramente continuerà e spero che porterà anche tanti frutti; perché, lo dicevo proprio il 16 giugno, quello che conta è lavorare insieme, magari facendo meno ma facendo meglio, perché “insieme è meglio”…

Siena non è l’unica parte della diocesi:  come sappiamo la diocesi è molto lunga, va dalla provincia di Grosseto a vicino Firenze, è composta da tanti paesi, tante realtà anche molto diverse… ma certamente Siena è un po’ il centro sia geografico che culturale….Ma essere centro non significa essere “tutto”, anzi! Il centro è tale perchè deve saper guardare la periferia, la parte più lontana ma non per questo meno importante…L’identità per un piccolo centro è fondamentale perché salvaguarda le tradizioni, la cultura, la ricchezza umana e spirituale….e di questo Siena è intrisa…Ma la difesa di una identità portata alle estreme conseguenze rischia di far cadere nell’isolamento e di conseguenza, nell’insignificanza…..La nostra diocesi, le nostre terre sono attraversate da milioni di persone: la via franchigena è un percorso di grande significato, è una “simbolica della vita” che può aiutarci meravigliosamente a compiere la nostra missione, che è quella di annunciare il vangelo a tutti…I turisti, i pellegrini che visitano quotidianamente le nostre città …non devono lasciarci indifferenti…

 

Poi c’è stata l’ avventura coi due pali, che mi hanno portato a toccare con mano e a immergermi nel clima della città dove ci troviamo Dicevo che mi sono immerso nel palio ed è stata un’esperienza entusiasmante vedere questa passione, questa carica, questo impegno grande…  Mi ha fatto molto riflettere con tutte le sue caratteristiche, con tutte le sue ricchezze… Il palio di luglio, tra l’altro, era stato preceduto da una visita seppur rapida a tutte e singole Le Contrade, grazie all’invito fattomi dal sindaco di Siena: questa opportunità che ci ha impegnato e ci ha fatto faticare molto perché 17 contrade, incontrarle tutte è stato un po’ faticoso, ma, devo dire, è stato molto proficuo… perché mi ha permesso di toccare con mano il piccolo-grande mondo dove ognuna delle Contrade svolge le sue attività, vive la sua vita, condivide gioie e dolori, vive anche le sue feste, le sue cene…. Ho avuto poi anche la possibilità di “condividere” l’’allegria, la spensieratezza, la gioia evidente della Contrada che ha vinto il Palio di agosto che avendo proprio qui dietro il duomo la sede, ha fatto sentire per lunghi giorno e lunghe notti la sua voce….

 

Vorrei lasciare non un grande piano pastorale, ma alcune indicazioni di percorso, delle “attenzioni”, delle strade che ci permettano di andare avanti e di continuare il cammino della nostra chiesa diocesana con gioia e con coraggio.                                                                                                 La prima: le vocazioni sacerdotali, per le quali dobbiamo continuare a pregare…perché la nostra chiesa abbia più sacerdoti…;                                                                                                                                        la seconda: i diaconi permanenti, per che il Signore susciti anche questa vocazione per il bene della sua chiesa;                                                                                                                                                                   la terza: le vocazioni di speciale consacrazione, maschili e femminili che si mettano a servizio della chiesa locale;                                                                                                                                                                     la quarta: sane e sante vocazioni al matrimonio che sentano e cerchino di vivere, preparandosi adeguatamente, il servizio pastorale.

A questo proposito invito tutte le comunità a impegnarsi in almeno un’ora di adorazione ogni primo venerdi del mese, per queste 4 intenzioni.

Vorrei lasciare qualche pensiero a voi, in particolare, fratelli sacerdoti.

L’incontro con il presbiterio è un momento importante  perchè “vescovo e preti sono una cosa sola”, perchè il ministero presbiterale o è un ministero di comunione o semplicemente non è. Il primo impegno di un vescovo è la comunione del suo presbiterio. Noi “siamo sacramento di Cristo pastore” e possiamo ripresentare Gesù pastore solo se siamo noi una cosa sola nell’amore, nella collaborazione, nella corresponsabilità.

L’importanza di queste riflessioni è dal mio punto di vista molto grande, non tanto per una questione di efficienza della vita pastorale; non è questo che mi preoccupa, non mi ha mai preoccupato come prima cosa l’efficienza della attività pastorale. Quello che mi preoccupa è la “forma e la figura del presbiterio”, cioè la forma dei rapporti che un presbiterio concreto come il nostro vive e testimonia di fronte alla Chiesa e al mondo. Perché lo stile che caratterizza il presbiterio tende a riprodursi nelle comunità cristiane; e lo stile delle comunità cristiane è lo sfondo unico sul quale può prendere valore la testimonianza dei singoli o dei gruppi.

Una Chiesa che  vive la comunione trasforma la società. Una Chiesa in cui si fanno le cose per paura o per punizione o per interesse di carriera è una “chiesa mondana”, come spesso ci ricorda papa Francesco. Una Chiesa invece in cui l’amore del Signore sta alla radice di ogni rapporto, anticipa realmente la speranza della vita eterna.

Questo è ancora più importante nel contesto sociale in cui viviamo, perché il fatto che la nostra società sia malata di individualismo è constatazione comune; che siamo malati di narcisismo e quindi ripiegati su di noi anche. Apparire e farsi valere davanti agli altri sono obiettivi primari che muovono i desideri dell’uomo di oggi. Al contrario l’esistenza cristiana o è esistenza di comunione o non è cristiana. Per questo la “formazione” e la comunione  del nostro presbiterio è il primo dono che siamo chiamati a fare alla nostra Chiesa.

È vero che non siamo religiosi e che non sottostiamo ad una regola comune. Ma è anche vero che non  siamo dei single e che non possiamo pensare la nostra vita come isolata. La figura del single che si diffonde nella nostra società produce inevitabilmente una ideologia del single, cioè un modo caratteristico di pensare la vita e di pensare il rapporto con gli altri. Questa ideologia è la “idealizzazione della libertà da ogni limite”. Il single non vuole limite, perché sta meglio così.

Credo che la vita comune ci aiuti in tante cose: ad avere una regola personale di vita, a confrontarsi con gli altri e quindi avere anche il dono di una osservazione, di una parola, ad essere sostenuti nei momenti di difficoltà, a ridimensionare i propri stati d’animo

La trasformazione della società è tale che o la parrocchia è in grado di rinnovarsi o va verso una crisi profonda. Perché il problema è che la complessità e la mobilità della vita attuale rendono la parrocchia non più capace di intercettare l’uomo reale con il suo modo concreto di vivere. L’unica possibile risposta è quella di una pastorale integrata, cioè una pastorale nella quale operino contemporaneamente e in modo complementare diversi approcci, quello territoriale, di ambiente, di gruppi, con la collaborazione di tutti quelli che si impegnano nella pastorale: preti, religiosi/e, diaconi, ministri della comunione, catechisti, operatori della carità, ecc.

Ebbene, di questa visione nuova fanno parte integrante le Unità Pastorali, perché aprono la singola parrocchia alle parrocchie vicine, e quindi superano la stretta delimitazione territoriale della parrocchia; unità Pastorale con quello che richiede: programmazione pastorale, istituti ministeriali, sviluppo dei ministeri diaconi e laici, responsabilizzazione e collaborazione dei laici…

Spero di riuscire a indirizzare le persone nei luoghi e negli ambiti in cui possono dare il meglio di sé, e possono contribuire di più alla crescita della Chiesa diocesana. È chiaro che la collocazione dell’uomo giusto al posto giusto non è sempre facile nè possibile, perché forse l’uomo adatto per quel posto lì… non si trova, o forse adatto c’è, ma ha un altro incarico nel quale non è sostituibile…Ma non possiamo e non dobbiamo partire dalle preoccupazioni e dai problemi, ma da tutto il bene che c’è e che può crescere (come ho avuto modo di dire appena arrivato): “dimentico del passato e proteso verso il futuro…”; “ripartiamo dal bene” e … la chiesa di Siena, Colle di val d’Elsa, Montalcino è e potrà essere sempre di più una chiesa aperta, viva ed accogliente…per tutti.

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