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IL CARD. LOJUDICE AL CORRIERE DI SIENA, “CITTA’ CON FORTI RADICI, MA NON CHIUSA”

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Riportiamo il testo dell’intervista rilasciata dal Card. Augusto Paolo Lojudice al Corriere di Siena e pubblicata oggi.

Cardinale Lojudice, a quattro anni dal suo arrivo a Siena provi a scattare una foto della città.

È una città con grandi potenzialità, che custodisce dentro di sé una ricchissima e amplissima quantità di bellezza in opere d’arte, in tradizioni, cultura, spiritualità, santità e anche in folclore, cose che non si trovano facilmente in un unico luogo come a Siena.

Una città che ha voglia di riscatto e che sta cercando la strada migliore per arrivarci. Non è facile, ma credo che possa essere un obiettivo da raggiungere insieme. Gli ingredienti ci sono tutti. Dobbiamo saperli mescolare bene.

Per lei Siena è una città chiusa come talvolta viene dipinta?

Ogni città, ogni comunità se vista da lontano sembra chiusa. Occorre vivere in presa diretta in questa città per capire che non ci si può basare su stereotipi costruiti da altri. Trovo questa comunità legata con forza ad antiche tradizioni che ne costituiscono l’ossatura principale. Questo non significa non essere moderni o chiusi, ma solo sapere riconoscere le proprie radici. Diciassette contrade sono l’anima di questa città per comprendere questo vero e proprio universo – come dicevo -bisogna viverle per capire che ognuna racchiude uno scrigno di storia, solidarietà e comunanza. Non chiuse, ma ben ancorate alla città.

Quasi tutta la provincia è sotto il suo magistero. È faticoso?

Un territorio certamente vasto. Non saprei quantificare il numero dei chilometri che ho percorso in questi anni. Tanti. La fatica passa in secondo piano quando si riesce ad essere vicino alle persone e alle nostre comunità. Questa è la mia priorità. Alcuni mi hanno definito “un vescovo in macchina”, ma questa definizione mi ha fatto contento perché sono convinto che oggi più che mai ci sia necessità di una chiesa in uscita e non isolata nei palazzi. In tutte le ore che passo in macchina posso, con il dovuto modo e con il viva voce, parlare al telefono, contattare i sacerdoti, ascoltare conferenze ed anche pregare. La macchina, che mi porta da un confine all’altro delle due diocesi – più di 150 chilometri – per me è diventata un luogo di lavoro.

Che situazione ha trovato? Ma i preti ci sono?

La situazione del clero delle due diocesi che il Papa mi ha affidato è la stessa delle altre in Italia: pochi sacerdoti e tante parrocchie. Io sono convinto che nonostante quello che si pensi tornerà il tempo delle vocazioni. La gente ha bisogno di speranza e di certezze e le nostre parrocchie, le Caritas diocesane sono sempre in prima linea nell’intercettare le vecchie e nuove emergenze sociali. La missione prima della Chiesa è quella di essere con gli ultimi e più fragili. Non dobbiamo e non possiamo dimenticarlo e su questo Papa Francesco ci ha indicato la strada giusta: andare alle periferie esistenziali e del mondo.

Tra l’altro il fatto che ci siano pochi sacerdoti è un impegno, per me e per gli altri vescovi, a sottolineare e valorizzare sempre di più la presenza dei laici nella Chiesa, che non è una semplice collaborazione per quello che i preti non possono fare, ma in realtà una vera e propria responsabilità, una corresponsabilità ecclesiale.

E con i correttori delle contrade che rapporto ha instaurato?

Sono convinto che il lavoro dei correttori sia fondamentale perché offrono un segno importante di presenza della Chiesa.

Tenga conto che i correttori sono parroci o sacerdoti comunque impegnati in diocesi con i quali ho già, per questo loro servizio, un dialogo aperto e sincero. Ho già trovato arrivando in diocesi il “collegio dei correttori” come struttura già consolidata.

Il rapporto è ottimo. Ormai è consuetudine non solo incontrarci tra di noi, ma apriamo il nostro confronto, almeno una volta l’anno, anche con i priori delle contrade. Un lavoro di raffronto e progettazione fatto insieme per un approfondimento e un dialogo su temi importanti in particolare sulle giovani generazioni. Con grande armonia.

Secondo lei, in che modo la Chiesa può sostenere le contrade nel promuovere l’accoglienza e l’integrazione di nuovi residenti nella comunità, favorendo un clima di inclusione e solidarietà?

Le contrade si fondano sul senso di solidarietà e di sostegno dell’altro. È un sentimento che le anima e che ne rappresenta un aspetto veramente positivo. In questo ambito il ruolo del correttore è certamente importante. I nuovi residenti, coloro che vivono al di fuori delle mura, sono sempre in numero maggiore. Ma questo non lo considero un aspetto negativo, ma che anzi pone tutti di fronte a nuovi cambiamenti nella città. Come nei secoli passati le contrade hanno attraversato il tempo preservando l’anima della comunità cittadina. Sono sicuro che vinceranno anche questa nuova sfida.

Di recente un ministro tedesco ha detto di usare le chiese come celle frigorifere quando fa caldo. Ma le pare giusto?

Il mondo è bello perché è vario, ma è certo ogni tanto dobbiamo assistere a delle trovate pubblicitarie o polemiche che sinceramente non hanno nessuna aderenza con la realtà e addirittura con la storia. Da tempo le chiese vengono aperte per realizzare ricoveri di fortuna e mense. La chiesa è la casa del Signore dove – come ci ha detto Papa Francesco – nessuno rimane escluso e tutti trovano rifugio e accoglienza. Il resto sono boutade estive.

Il regista Franco Zeffirelli, negli anni Novanta, definì Siena una città di bestemmiatori e atei. Ma è così secondo lei?

La città che ho conosciuto in questi anni è diversa. Non voglio fare le statistiche di crede e di chi è ateo, ma l’unico dato che offro è quello che arriva dal nostro centro Caritas, dove in questi anni è aumentata la richiesta per impegnarsi come volontari. Ogni volta che abbiamo chiesto ai senesi di darci una mano per chi è meno fortunato hanno risposto di cuore e con generosità. No! Non ritrovo Siena in quanto detto da Zeffirelli.

A Colle Val d’Elsa, dopo l’inferno delle Torri Gemelle, è stata costruita una moschea. Qual è il ruolo della Chiesa cattolica nel promuovere il dialogo interreligioso e la convivenza pacifica all’interno di una comunità?

Ho visitato più volte la moschea ed ho un ottimo rapporto con l’Imam con il quale abbiamo un importante rapporto di collaborazione e confronto per i giovani mussulmani, pakistani afgani e di altre nazionalità che sono accolti dalla nostra Caritas.

La convivenza pacifica all’interno di una comunità è fondamentale in una società multietnica e multireligiosa. Il tempo delle crociate è lontano. Oggi siamo una Chiesa in missione e missionaria anche nelle strade delle nostre città. Senza paura, nell’incontro con chi professa un’altra religione ed anche con chi si professa ateo.

L’ufficio diocesano per l’ecumenismo di Siena in questi anni è stato protagonista di un continuo lavoro di confronto e collaborazione con tutte le realtà religiose presenti sul territorio.

Come concilia la Chiesa i principi della laicità con l’espressione delle proprie dottrine e valori all’interno della società civile?

Nel principio del reciproco rispetto e nel confronto democratico e sereno. Questo è l’unico metodo lontano da inutili polemiche e strumentalizzazioni demagogiche.

Sulle questioni etiche e sociali non esiste un metodo da manuale, ma esite il buon senso e per noi cattolici il riferimento imprescindibile alla dottrina della Chiesa. Questo non significa non dialogare, ma solo rivendicare alcuni principi per noi fondamentali. Il primo tra tutti la difesa della vita in ogni suo stadio.

Cardinale, per lei che cosa vuol dire essere laico?

La parola laico è usata nel linguaggio comune in una doppia accezione. Anche io, prima di essere diacono e poi sacerdote, ero laico. Il primo significato è quello della parola non appartenente all’ordine clericale. D’altra parte, si usa anche nel linguaggio ecclesiale quello di “laico impegnato” per descrivere una persona- non diacono, sacerdote o religioso- che è attiva all’interno della Chiesa. Poi c’è l’altro significato che intende laico come non religioso o non appartenente o non professante qualsiasi tipo di religione.

Io sono sempre stato allergico all’etichette. Per alcuni essere laico significa stare lontano dalla Chiesa e da tutto ciò che rappresenta. Ma per me non è così. La laicità deve essere un valore che aiuti i cittadini a prendere decisioni ponderate e bilanciate per il bene comune. Lontani da fanatismi e visioni distorte della realtà. Ma questa laicità, per come la vedo io, non esclude Dio.

Qual è il ruolo della Chiesa nel promuovere la cura dell’ambiente e la sostenibilità in un contesto di crescente sensibilità verso la protezione del pianeta?

Credo che nessuno ignori l’attenzione enorme che Papa Francesco e la Chiesa stanno ponendo ai temi della cura dell’ambiente e della sostenibilità. Non c’è diocesi che non abbia creato un gruppo di riferimento, ci sono tanti giovani che si impegnano nello studio e nell’approfondimento di questi temi. Penso alla “New economy of Francisco” che ha visto, in più occasioni, ritrovarsi ad Assisi e in altri luoghi migliaia e migliaia di giovani.

Papa Francesco ha dedicato un’enciclica – la Laudato Sì – a questo tema. Il Pontefice ci ha indicato le linee direttrici per poter invertire una tendenza devastante per il nostro pianeta che Lui chiama casa comune. In particolare, Francesco aapplica il concetto di ecologia integrale alla vita politica. Questo richiede accordi internazionali per proteggere l’ambiente e assistere i paesi a basso reddito, nuove politiche nazionali e locali, processi decisionali inclusivi e trasparenti e un’economia ordinata al bene di tutti. Sembrano obiettivi lontani, ma ci dobbiamo provare. Tutti insieme.

                                                                                  


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